sabato 29 aprile 2023

Il mio antispecismo

 

  

 

    Come spesso affermo, non mi si addice il termine "animalista", bensì  "antispecista".

   C'è una bella differenza e non è un caso se il primo è molto inflazionato mentre il secondo tende a sfuggire nell'uso e nella comprensione del suo significato.

    Molti si definiscono animalisti ma non sono in realtà antispecisti o aspecisti. Non basta essere mossi da sentimenti di simpatia o attrazione o pietà nei confronti degli animali per definirsi antispecisti e quindi per abbracciare una visione che davvero fa vacillare un sistema culturale e di credenze che, soprattutto in occidente, ha plasmato la nostra visione del mondo.

    L'animalismo può essere per molti di noi l'inizio di un percorso. L'emozione e la sensibilità sono sovente le prime molle che fanno mettere in discussione il nostro rapporto, tanto squilibrato quanto consolidato da millenni di storia, con gli altri animali e il pianeta che ci ospita. Personalmente penso che i sentimentalismi non portino da nessuna parte, si deve andare oltre la superficie, alle radici del nostro pensiero.

   L'antispecismo è un sistema filosofico e, come tale, può solo essere compreso entrando in risonanza con il nostro intuito e la nostra intelligenza. Non  a caso, infatti, non è insolito scoprire che una certa visione della realtà, che ha preso spontaneamente forma nella nostra mente, già appartiene al patrimonio filosofico dell'umanità. Possiamo anche affermare, così come mi piace pensare, che ci innalziamo a nuove consapevolezze, entrando in sintonia con quella Coscienza Universale che è perfetta intelligenza e tutto comprende. Infatti l'intuizione dell'assurdità di porre confini discriminatori tra esseri viventi è trasversale nella storia del pensiero e non ha limiti di tempo e spazio. Da Pitagora e Plutarco, fino a Peter Singer e Tom Regan, comprendendo filosofi come Michel de Montaigne, David Hume, Jean-Jacques Rousseau, Jeremy Bentham e Norberto Bobbio, tanto per citarne alcuni, non ha mai taciuto la voce di protesta contro quel lato oscuro dell'umanità che persiste, peraltro senza l'attenuante del bisogno, nell'infliggere sofferenze e morte alle creature classificate di specie diversa.

   Vorrei esplicare il mio antispecismo partendo da una delle più farisee obiezioni che mi sono state mosse in risposta al mio attivismo vegan. Tale contestazione aveva come contenuto un confronto moralista tra le mie battaglie per la liberazione animale e le donazioni, del mio interlocutore di turno, a favore dei bambini che muoiono di fame, opera ritenuta, dai più, espressione di massima filantropia e quindi indiscutibile. Io invece sono qui per discuterla.

   Personalmente non vedo nulla di nobile nel difendere a tutti i costi quanto ci assomigli e quindi ci rappresenti. Ci vedo piuttosto una richiesta dell'ego che, tradotta in breve, significa egoismo. Si, proprio così. Quando difendo a tutti i costi la mia specie, ovvero quelli che ho classificato simili a me, in realtà sto difendendo me stesso. E più alimento le istanze egoiche più cado in una cieca e ridicola presunzione di essere al centro del mondo. E, se andiamo oltre, al punto di far ricorso ad assiomi di natura religiosa per attribuire una sacra supremazia dell'essere umano, ovvero di se stessi, si cade ancora più in basso. Ecco che entra in gioco il perfetto postulato: dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza. Io direi che l'uomo (mi riferisco soprattutto al seguace delle principali religioni monoteiste) si è inventato un dio a sua immagine e somiglianza e, poichè è dio, ma anche se stesso, gli ha messo in bocca tutti i dogmi più comodi, quelli antropocentrici.

  Questo non significa non amare la propria specie e, tornando al bambino, mi occupo senz'altro di lui, proprio perchè indifeso. Ma un animale è ancora più indifeso del bambino, in quanto inserito nel sistema di dominio dell'uomo sulla terra, e, tranne rarissime eccezioni, considerato un oggetto. Nessun principio giuridico al mondo attribuisce diritti soggettivi agli animali e, le norme che li tutelano in qualche modo, laddove esistano, lo fanno solo indirettamente, in quanto è l'essere umano che, in ultima analisi si vuole direttamente tutelare e gli animali restano dei meri oggetti, asserviti in vario modo alle esigenze della specie dominante. La sofferenza e la morte di un animale possono ferire la sensibilità di alcuni o causare danno economico ma non esiste una soggettività giuridica degli animali, a cui far riferimento per gli infiniti casi di crudeltà, violenza e ingiustizia dei quali sono costantemente vittime. Talvolta le norme giuridiche stabiliscono doveri di rispetto nei loro confronti, in quanto parte del  contesto ambientale, il quale, secondo una mentalità che si sta sempre più diffondendo, deve essere tutelato, non per valore intrinseco, ma ahimè, in funzione utilitaristica nel contesto di un disegno antropocentrico.

   Ecco perchè, se possediamo un minimo senso della giustizia, è dei nostri fratelli animali che prima di tutto dobbiamo occuparci, proprio perchè sono loro le vere vittime di questo pianeta, i più indifesi, i più maltrattati, i più innocenti. Ho usato il termine "fratelli animali" non per qualche forma di misticismo o sentimentalismo ma per introdurre una riflessione che mi pare molto importante e vuole essere il cuore di questo post.

   Tornando a  Peter Singer e Tom Regan, è innegabile il grande contributo che hanno fornito per mettere in discussione quella visione di dominio dell'uomo sugli altri animali e il loro pensiero può essere un punto di partenza per ulteriori riflessioni e sviluppi di più elevata consapevolezza che, nel mondo antispecista, hanno iniziato a prendere forma. I due filosofi hanno dimostrato l'esistenza dei diritti degli animali partendo dalle somiglianze che presentano con gli esseri umani, posizione questa successivamente superata, in quanto accusata di velato antropocentrismo. Personalmente sono d'accordo. Non possiamo sviluppare un pensiero veramente evoluto partendo ancora una volta da noi stessi, insistendo nel voler stare al centro dell'universo. E' ora di levare le tende e riprendere quel viaggio senza fine di consapevolezza, attraverso i mondi, l'unico viaggio sensato. Dobbiamo dimenticarci di chi siamo e imparare a osservare e a ascoltare tutto quello che ci circonda e tutte le varie forme di vita, senza cercare di giudicare, classificare, di trovare somiglianze o differenze, in paragoni fuorvianti. La realtà è infinita e non si lascia certo imbrigliare dalle nostre limitate e misere categorie mentali. 

    In altre parole, sarebbe davvero poco intelligente, riconoscere dignità agli altri animali e un valore inestimabile alle loro vite solo perchè in loro ci rispecchiamo, diventando proiezioni della nostra vita interiore, con pensieri ed emozioni che, di sicuro, appartengono solo a noi. Conosciamo il nostro mondo interiore e ci illudiamo che sia superiore, in valore, a quello delle altre creature di cui, onestamente, non sappiamo nulla. 

     Dal mio punto di vista un antispecismo, che non cada nelle tanto frequenti quanto subdole trappole dell'antropocentrismo, deve fondarsi sulla presa di coscienza che l'uomo è animale tra gli animali, che non siamo in grado di comprendere la natura delle altre creature e che pertanto è assurda la pretesa di speculare ideologicamente su presunte somiglianze e differenze tra gli individui che, per "vizio" puramente umano, classifichiamo in specie. Ancora più assurdo è il meccanismo mentale di stabilire che esistano facoltà e capacità negli animali, etichettabili come superiori o inferiori. Tradotto in altre parole: non sono in grado di conoscere la vera natura di un lombrico, di entrare nel suo corpo e fare esperienza della sua interiorità. Pertanto non sono in grado di paragonarmi a lui. Quando ne trovo uno sull'asfalto, che il sole inizia ad arroventare, lo sposto all'ombra, sull'erba umida, così come recita una famosa citazione di Albert Schweitzer. In quel momento lui è come me ed io come lui, accomunati dalla cosa più importante: la vita. Questo mi basta per comprendere la sua dignità e il valore inestimabile del suo essere. La sua vita è importante quanto la mia. Intervenire nel momento di bisogno di qualsiasi essere vivente non può che essere salvifico, anche per noi stessi. Ma questo è tutto un altro discorso.

 

 

 

 

venerdì 14 aprile 2023

L'albero di Tina


    Quando Tina ha lasciato il suo corpo, abbiamo sentito di dover onorare il suo ricordo attraverso un simbolo di rinascita.

    Tre settimane dopo il suo ultimo saluto, in una splendida mattinata primaverile, un acero è stato messo a dimora nella verde distesa di un parco fluviale. Sotto le sue radici una vibrissa di Tina, a simboleggiare il passaggio della vita da una creatura ad un'altra, un legame che richiama quell'unità cosmica, quell'essere parte di un'unica coscienza universale.

   L'acero porta con sè una vasta simbologia, proveniente da molte parti del mondo e che si perde nella notte dei tempi. Ho fatto mia quella giapponese, secondo la quale l'acero rappresenta l'impermanenza, della cui consapevolezza non dovremmo mai scordarci di avere cura, spogliandoci così di tutto quanto è effimero nella nostra vita, nutrendo invece ciò che è eterno, il nostro spirito. Tina non aveva mai mancato di richiamarmi a questa coscienza, per elevarmi ad altri piani di frequenza.

  La piccola cerimonia si è svolta al termine di una passeggiata ecologica, alla presenza di una quarantina di persone, alle quali abbiamo parlato di Tina, con la voce del cuore, e dei nostri significati dietro questo gesto. Non ci era parso così scontato il valore che ha per noi l'ambiente e le attenzioni che vogliamo dedicargli. Questa pianeta non ci appartiene. Noi esseri umani siamo solo ospiti, insieme alle creature di altre specie. Abbiamo il dovere di prenderci cura della Madre Terra, che ci nutre e sostiene con i suoi frutti, così abbondanti da garantire a tutti noi sopravvivenza e benessere. Gli animali sono i nostri compagni di viaggio in questa vita, che ha il medesimo valore, inestimabile, per tutti, senza distinzione di specie. Gli animali non sono al nostro servizio, non sono cibo, non sono divertimento, non sono oggetti asserviti ai nostri scopi. Sono nostri fratelli e abbiamo il dovere di sostenerli e aiutarli nelle loro difficoltà, così come faremmo con un nostro simile. Prenderci cura dell'ambiente è, innanzitutto, prenderci cura di loro.

    L'acero, con il tempo, crescerà. Le sue radici si estenderanno in un amorevole abbraccio a quella parte di Tina che gli abbiamo affidato. Noi avremo cura dell'acero e, alla sua ombra, le nostre anime si acquieteranno.

venerdì 7 aprile 2023

Un blog per Tina

 

   L'idea di un  blog è rimasta in sospeso nelle mie intenzioni per molto tempo, perlomeno sei anni, quando nei abbozzai uno e, come bozza, è rimasto fino ad oggi, senza essere mai venuto alla luce... del web.

   Le motivazioni che allora mi avevano spinta, in un moto ahimè smorzato esponenzialmente, sono le stesse di oggi: il piacere della scrittura, l'impegno a comunicare qualcosa che si ritiene importante, la soddisfazione di coltivare un proprio spazio di creatività in rete.

  Ora è arrivato il momento giusto per dar forma a questa creatura, che da tempo ho desiderato. Me ne  sono resa conto lo scorso 17 marzo, quando la mia Tina è volata sul ponte dell'arcobaleno. Ne ho anche fatto cenno in un mio precedente post Tempi di svolta.

   Tina, negli ultimi mesi della sua vita, mi ha lasciato grandi insegnamenti e fatto percepire uno stato energetico più elevato, quello puro degli animali, che ci permette di intravedere un altro modo di vivere. Si, perchè le loro azioni sono genuina espressione del loro essere, senza tutti quegli ostacoli che noi umani frapponiamo tra noi stessi e la nostra autentica realizzazione: paure, insicurezze, giudizio.

    La mia gatta metteva in atto i suoi desideri senza alcuna esitazione. Quando voleva le coccole, le chiedeva e basta; non temeva un mio rifiuto e neppure si scoraggiava se non potevo, perchè presa da mille incombenze, non si chiedeva quanto l'amavo o quanto lei fosse amabile. Così, se voleva sgattaiolare fuori casa, andava e basta, senza "se" e senza "ma", senza che la sua testa producesse una varietà di congetture, come spesso accade a noi umani nel momento di agire. Neppure la malattia riuscì a smorzare la sua volontà che si mantenne viva fino al crollo del suo esile e sofferente corpicino. 

   Mi ha dato una grande lezione di coraggio, che ha spazzato via tutte le mie scuse e, dietro a queste, le mie paure. Le prime fanno la voce più grossa e sanno essere convincenti: non ho tempo per un blog, non è importante, non è utile. Le seconde sono più subdole, amano cammuffarsi ma suonano più o meno così: non sei capace, non hai nulla di interessante da scrivere, farai un sacco di stupidi errori, chi legge ti giudica e ti critica e... chi più ne ha più ne metta. 

   Tina non era ostacolata dal chiacchericcio mentale autosabotante. Lei realizzava pienamente il suo essere, senza porre resistenza al naturale flusso della sua energia e della vita. 

   Questo blog vuole innanzitutto essere, per me stessa, l'occasione per nutrire, nella mia anima, i semi dell'eredità spirituale di Tina. Scrivendo di lei, manterrò quella consapevolezza, quello stato vibrazionale elevato che mi ha trasmesso negli ultimi giorni della sua vita e in quelli seguenti. Lei, minuscola goccia, che si è unita all'oceano infinito della coscienza universale, è rimasta in contatto con me, in una zona di confine, tra questa e l'altra dimensione, per un tempo breve, ma che non voglio dimenticare. 

    So che la scrittura mi permetterà di mantenere accesa quella meravigliosa scintilla di consapevolezza, che la sua anima pura mi ha donato in segno di saluto. Un'esperienza rara, che mi era già capitata in passato e che ho avuto modo di rivivere qualche giorno fa. Sono convinta che, finchè permarremo in questo stato della materia, la luce ricevuta vada curata e alimentata, affinché non si spenga nell'oblio.

    


giovedì 6 aprile 2023

Perdonarsi e perdonare

   La cosa che, da sempre, più mi colpisce negli animali è l'innocenza, la purezza della loro anima.

  Certamente potremmo affrontare la questione da un punto di vista biologico, considerando quindi le differenze che l'organo cervello presenta nelle varie specie, compresa la nostra e le conseguenti varietà comportamentali. Fermo restando che, anche in questa prospettiva, si può solamente parlare di diversità e un confronto, finalizzato a voler stabilire la superiorità di una caratteristica rispetto ad un'altra, non avrebbe alcun senso. Ma i dati scientifici possono solo avere un valore strumentale nella nostra vita e non ci porterebbero da nessuna parte. L'unica guida che conta per noi è quella del cuore e non mi riferisco qui ad una qualche forma di superficiale sentimentalismo.

   Quando Tina ha iniziato a manifestare i segni della sua malattia, sono stata sommersa da una valanga di sensi di colpa che, ancora oggi, a tre settimane dalla sua morte, fanno inaspettatamente capolino nella mia coscienza e in quella del resto della famiglia. Non dovrebbe essere così, si sa, e su questo argomento si potrebbero scrivere fiumi di parole ma non è il mio intento ora. 

    Tina mi ha dato grandi lezioni sull'argomento perdono, per il quale ho speso parte della mia vita per comprenderne il senso più profondo e fare quel salto evolutivo davvero fondamentale. Eh sì, è questo un tema chiave della nostra esistenza e del nostro essere spiriti in viaggio verso la luce. Ma solo quella amabile e, talvolta, buffa quadrupede poteva scuotere la mia consapevolezza, come forse non era mai accaduto prima.

    La mia gatta, a differenza di noi umani, non categorizzava la realtà in bene e male, non formulava alcun giudizio etico o di altro tipo, non aveva la concezione di peccato nè tanto meno era in grado di esperire il senso di colpa. Come lei, tutti gli animali. Questa è innocenza pura. Senza le barriere del giudizio e della morale, tutto il bene possibile fluisce impetuoso come un fiume in piena e l'essere si realizza nella sua totalità, per ciò che davvero è, verso infinite possibilità.

    Tina non provava sensi di colpa quando uccideva un insetto, non avrebbe potuto fare diversamente, perchè programmata dall'istinto, senza possibilità di scelta. Noi esseri umani possiamo decidere se uccidere un ragno o prenderlo delicatamente e spostarlo in un luogo più idoneo per lui e per noi. Si, noi arriviamo ad un bivio e siamo chiamati a decidere, qualora un flash di coscienza ci illumina l'anima, se prendere la prima strada o la seconda, che è quella della consapevolezza e della compassione. Nel secondo caso, oltre all'innocente ragno, ne beneficeremo anche noi della scelta, realizzando quel potenziale dell'essere che, per intenderci, ci rende felici.

    Tina spesso si innervosiva con Leonardo, il micio ultimo arrivato a casa nostra. Passato quell'attimo di insofferenza, espresso con una soffiata o un minaccioso mugolio, ritornava il sereno. Tutto dimenticato e l'indesiderato Leo poteva, un'ora dopo, essere oggetto di una qualche affettuosa leccatina da parte della coinquilina, che non faceva altro che essere fedele a se stessa: un felino che, per quanto addomesticato, conserva pur sempre l'istinto della territorialità, come madre natura comanda. E andava benissimo così. Solo noi "inquilini" umani avremmo potuto avvalerci, semmai, della consapevolezza/responsabilità/potere di realizzare un ambiente domestico il più idoneo possibile per i nostri amati pelosetti. Loro non avrebbero potuto fare di più!

     Tina si accucciava sulle mie gambe incrociate, ogni volta che riuscivo a ritagliarmi del tempo per la lettura o la meditazione. Le sue fusa sfrenate avevano un grande potere per favorire il mio rilassamento ma erano accompagnate da una sorta di impastamento sulle mie ginocchia che, pur essendo protette dai miei indumenti, venivano piacevolmente "sbrindellate" dai suoi aguzzi artiglietti. Se poi mi scappava un colpo di tosse, reagiva con un fermo verso di stizza: probabilmente interpretava come una minaccia il mio sintomo stagionale. Gioiva intensamente per quegli istanti e invitava me a fare altrettanto. Pure mi esortava, inconsapevolmente, a perdonarla per gli inestetici segni che lasciava sulle mie gambe, a mo' di firma, e per le sue sgridate quando il mio linguaggio non verbale le pareva inopportuno! Come avrei potuto non farlo? Manifestava un amore incondizionato nei miei confronti, esprimendo la propria natura felina, che tale è e non può essere diversa. Era pura innocenza.

     Mi ha insegnato a perdonarmi. Perchè, se da un lato è vero che noi esseri umani abbiamo la possibilità di scegliere tra diversi comportamenti, è pur vero che qualsiasi scelta sarà subordinata al grado di consapevolezza e agli strumenti che possediamo nel preciso istante in cui decidiamo. A differenza degli animali, abbiamo un ventaglio più ampio di possibilità, ma le nostre azioni saranno pur sempre conseguenza del nostro grado di evoluzione e non potremo fare diversamente.

    Le lezioni più importanti sul perdono mi furono impartire da Tina negli ultimi mesi della sua vita, quando mi toccò prendermi cura della sua salute. Le visite veterinarie, un paio di flebo che dovetti praticarle, i farmaci omeopatici introdotti nella sua bocca erano momenti di disagio e talvolta di paura per lei. Ebbene sì, temevo che non mi avrebbe perdonata per essere la causa di quei piccoli tormenti, che andavano ad aggiungersi ai malesseri della sua malattia. Non avevo altra scelta per alleviare il suo male, eppure mi sentivo a disagio in quei frangenti, temendo addirittura di incrociare il suo sguardo e di leggere nei suoi occhi la delusione, il dispiacere, il rimprovero nei miei confronti. Invece no, i suoi occhi continuavano a esprimere dolcezza e amore per me, come se nulla fosse accaduto e così la sua anima permaneva in una dimensione di serenità. Lei separava il gesto, da me compiuto, dalla mia persona e forse, in questo senso, senza il peso del giudizio, il perdono non era neppure necessario.

   Tina non ha mai filosofato con me ma ha usato un canale potentissimo per illuminarmi sul perdono: il suo amore incondizionato. Lei mi ha mostrato quanti tormenti possiamo risparmiarci lasciando andare ciò che è stato, poiché il passato non esiste più e  chi ci fece un torto o ci ferì ieri, oggi non è più la stessa persona. E, soprattutto, perchè il perdono è il più grande dono di pace che possiamo fare a noi stessi.


lunedì 3 aprile 2023

Vivere pienamente


  La lezione più interessante e utile, che ho imparato da Tina, è quella del vivere pienamente ogni istante.

  L'ho appresa, soprattutto, nelle ultime settimane della sua vita e ho compreso quanta saggezza possano trasmetterci gli animali, tutti gli animali, nessuno escluso, se solo mettessimo un po' più di amore e umiltà nell'osservarli!

  La mia straordinaria pelosetta, da alcuni mesi, si stava avviando gradualmente ed inesorabilmente verso il termine della sua esistenza, nonostante i nostri tentativi di fermare il suo male, oscillando tra la ferma volontà di salvarla e il timore di scivolare in qualche forma inutile e irrispettosa di accanimento terapeutico. 

  Mi tormentava il fatto di non essere in grado di comprendere la sua sofferenza e poter in qualche modo lenirla.

  Osservavo come al suo declino fisico, dovuto ad una insufficienza renale e ad una quasi accertata forma tumorale all'intestino, non corrispondeva la perdita di voglia di vivere. Anzi, più si avvicinava la fine, più sembrava voler godere di quanto di gradito e amabile la vita potesse ancora offrirle.

  Eppure i segnali di sofferenza fisica erano più che visibili: nausea, vomito, disturbi intestinali, malessere, debolezza e chissà quant'altro! La sete non le dava tregua e l'assunzione del cibo era sempre più scarsa e difficile. La perdita di peso non si arrestava e quel corpo morbido e soffice, di qualche anno prima, aveva lasciato il posto alla spigolosità delle sue piccole ossa, che il pelo diradato non riusciva più ad addolcire. 

 Al mio domandarmi quali sensazioni sgradevoli l'assilllassero giorno e notte, si contrapponeva la sua forza ad andare avanti, giorno per giorno, come se nulla fosse, gioiendo di tutto quanto era sempre stato per lei motivo di felicità: i nostri sguardi, le attenzioni, le coccole, le passeggiate outdoor con me, le visite dei nostri parenti e amici. Le sue fuse immediate a quei momenti erano per noi di grande conforto ed incoraggiamento. Si, proprio così: era lei che ci assicurava e dava forza!

  Nelle ultime settimane le zampette posteriori iniziarono a divenire deboli e instabili, rendendole arduo scendere e salire dai nostri letti, dal divano, dalle scale e persino percorre una manciata di metri. Eppure era deteminata a perseverare nelle sue abitudini, come se nulla fosse. Percepivo con grande stupore quel suo vivere nel momento presente, così difficile per noi umani, sopraffatti dai rimpianti per il passato e dalle inquietudini per il futuro. Mi mettevo nei suoi panni e immaginavo me stessa alla prese con una prognosi infausta, ossessionata dagli  oscuri dettagli di una via crucis che mi avrebbe attesa. Non era così per Tina, che viveva l'istante, libera dai fantasmi del dopo. La osservavo nei suoi passi incerti e difficili: ognuno di essi era un momento di serenità, completamente indipendente e noncurante di come sarebbe stato il prossimo. E così, passo dopo passo, andava avanti. Per me sarebbe stato impossibile, pensavo!

 Quando poi il suo corpo cedeva, si fermava e mi guardava serafica, facendomi comprendere che non poteva più saltare ma dovevo sollevarla, che non poteva più scendere le scale ma dovevamo prendere l'ascensore o che la nostra breve passeggiata avrebbe potuto farla in braccio a me...

  Non dimenticherò mai l'ultimo giorno che la vidi ancora attiva. Era stata una giornata davvero ingrata per lei. La dissenteria l'aveva sfiancata ed era necessario pulirla frequentemente durante la giornata, con brevi e delicate abluzioni, che accettava di buon grado, così come la seduta di agopuntura che avevamo in programma per quel giorno. Nonostante la debolezza, avevamo fatto pochi passi nell'area verde davanti a casa, rincorrendo gli ultimi raggi dorati di un sole calante dietro ai tetti, quasi un malinconico presagio. La sera sul tardi si portò lentamente davanti all'ingresso di casa, per esprimere un desiderio che io conoscevo molto bene da anni: la passeggiata in cantina. Arrivammo a destinazione con l'ascensore ma il suo passo era sorprendentemente deciso e trasmetteva entusiasmo. Una voglia di vivere non scalfita dalla sofferenza, un desiderio di assaporare ogni istante che le veniva ancora concesso. Fui sorpresa nel vederla mangiare con gusto gli "snack" che ultimamente le lasciavo a disposizione in quel luogo della casa, uno dei tanti espedienti per far sì che si nutrisse il più possibile.

   La mattina dopo ci fu l'ultimo tentativo di bere dal rubinetto, come desiderava fare, oltre che dalla ciotola e dalla fontanella. Non ce la fece e si accasciò. L'adagiammo su di un fianco nel nostro lettone che, il giorno seguente, divenne il suo letto di morte. Rimase cosciente fino alle nove e mezza del mattino, ancora con la sua voglia di vivere e di godere delle persone che l'amavano. Lo sguardo iniziava a perdersi nel vuoto ma ad ogni mia carezza rispondeva con le sue delicate fusa, esprimendo riconoscenza verso di noi e verso la vita. Poi un sommesso miagolio, lei che con i "miao" si era sempre espressa poco e, ancora meno, durante la malattia. Fu il suo ultimo saluto - e chissà quant'altro volesse comunicarmi - prima del coma.  

   E' noto il significato del "vivere qui e ora". Con Tina ho fatto esperienza della profonda radice di questa saggezza.




domenica 2 aprile 2023

Tina

 

 

 

  15 agosto 2009. Per le strade assolate e deserte di Cuneo si aggira spaventata una gattina. I suoi occhioni dolci e imploranti attirano l'attenzione di un'anima gentile che la raccoglie consegnandola al gattile. Alla nuova arrivata viene dato il nome di Assunta, davvero adatto al lei in più di un significato.

  E infatti non rimarrà neppure un giorno nel luogo dove avrebbe potuto, forse, passare il resto della sua vita. Poche ore dopo il suo arrivo conquista il cuore di una donna che si era recata per un'adozione di un gattino di pochi mesi. Non dimenticherò mai le parole di Graziella: "Avevamo già deciso di adottare il gattino ma quando vidi Assunta, appena arrivata al gattile e ancora dentro un trasportino, provai una grande tenerezza per quella creatura che, con i suoi occhi dolcissimi e smarriti, sembrava alla ricerca disperata dell'affetto di una famiglia. Non potei fare a meno di ascoltare il mio cuore e, senza pensarci su, la  portai a casa con il piccolo." Il nome Assunta tramutò in Tina, passando per Assuntina.

  Un mese dopo, per varie circostanze, Tina entra a far parte della nostra famiglia, la terza e ultima sua famiglia. Tornerà da Graziella un paio di volte, in occasione delle nostre vacanze. 

  Sarei tentata di affermare che Tina era una gatta speciale, ma sarebbe questa una visione che ho superato, soprattutto grazie a lei. Tutte le creature sono speciali e il non saper cogliere la meravigliosa unicità di ciascuno è un limite della nostra consapevolezza, è l'incapacità di scorgere la profonda natura di ogni essere. Con Tina ho colto l'essenza dell'amore incondizionato, ho visto la perfezione nell'imperfezione, ho ricevuto lezioni sul perdonarsi e il perdonare, ho compreso che per trovare quello che disperatamente cercavo era sufficiente fermarmi e semplicemente osservare e ascoltare, senza giudizio. I suoi grandi e verdi occhi erano in grado di trasmettere tutto questo. Bastava solo indugiare nel suo intenso e vibrante sguardo.

  Mi sono sempre chiesta - e con me anche Graziella - da dove arrivasse Tina, quale famiglia l'avesse vista crescere e forse anche nascere e come accadde che finì sulla strada in una giornata di Ferragosto. Forse, presa dalla curiosità di giovane gattina, era uscita dalla propria casa e poi, impaurita da qualcosa, si era smarrita? Forse si era trovata in stato di abbandono per qualche fatalità capitata al suo o suoi compagni umani? O, peggio ancora, era di troppo per qualcuno che aveva deciso che le ferie sono più importanti dell'amore puro di un angelo pelosetto? Probabilmente le sue origini rimarranno per me un mistero. Mi piace immaginare che qualcuno l'abbia accolta nella propria vita con amore e con l'intenzione di un "per sempre". A supporto di questa ipotesi, il fatto che fosse sterilizzata e in ottime condizioni.

  Comunque sia, lei è entrata nella mia vita e in quella dei miei famigliari e davvero non voglio credere al caso. Per me tutto ha un senso e trova collocazione nel progetto esistenziale che ognuno di noi si porta, a corredo, al momento della nascita. 

  E' incredibile quanto possiamo imparare dagli animali. Tina ha rafforzato in me questa consapevolezza che, nel corso della mia vita, è andata sempre più consolidandosi. Se solo noi umani riuscissimo a far cadere quella corazza di presunzione, arroganza e illusioni dell'ego, saremmo in grado di ricevere grandi insegnamenti dai nostri fratelli di specie diversa. Loro sono pura autenticità, scevri da quelle sovrastrutture, di cui tanto noi ci vantiamo ma che in realtà sono trappole e ostacoli, che ci impediscono di comprendere chi siamo veramente e di  realizzarci pienamente.

  Qualche tradizione buddhista vuole che anche in un animale possa albergare lo spirito evoluto di un bodhisattva, allo scopo di aiutare una persona o un'intera popolazione ad evolvere. E' questo un pensiero che custodisco nel mio cuore. Ora che Tina non è più con noi.