sabato 29 aprile 2023

Il mio antispecismo

 

  

 

    Come spesso affermo, non mi si addice il termine "animalista", bensì  "antispecista".

   C'è una bella differenza e non è un caso se il primo è molto inflazionato mentre il secondo tende a sfuggire nell'uso e nella comprensione del suo significato.

    Molti si definiscono animalisti ma non sono in realtà antispecisti o aspecisti. Non basta essere mossi da sentimenti di simpatia o attrazione o pietà nei confronti degli animali per definirsi antispecisti e quindi per abbracciare una visione che davvero fa vacillare un sistema culturale e di credenze che, soprattutto in occidente, ha plasmato la nostra visione del mondo.

    L'animalismo può essere per molti di noi l'inizio di un percorso. L'emozione e la sensibilità sono sovente le prime molle che fanno mettere in discussione il nostro rapporto, tanto squilibrato quanto consolidato da millenni di storia, con gli altri animali e il pianeta che ci ospita. Personalmente penso che i sentimentalismi non portino da nessuna parte, si deve andare oltre la superficie, alle radici del nostro pensiero.

   L'antispecismo è un sistema filosofico e, come tale, può solo essere compreso entrando in risonanza con il nostro intuito e la nostra intelligenza. Non  a caso, infatti, non è insolito scoprire che una certa visione della realtà, che ha preso spontaneamente forma nella nostra mente, già appartiene al patrimonio filosofico dell'umanità. Possiamo anche affermare, così come mi piace pensare, che ci innalziamo a nuove consapevolezze, entrando in sintonia con quella Coscienza Universale che è perfetta intelligenza e tutto comprende. Infatti l'intuizione dell'assurdità di porre confini discriminatori tra esseri viventi è trasversale nella storia del pensiero e non ha limiti di tempo e spazio. Da Pitagora e Plutarco, fino a Peter Singer e Tom Regan, comprendendo filosofi come Michel de Montaigne, David Hume, Jean-Jacques Rousseau, Jeremy Bentham e Norberto Bobbio, tanto per citarne alcuni, non ha mai taciuto la voce di protesta contro quel lato oscuro dell'umanità che persiste, peraltro senza l'attenuante del bisogno, nell'infliggere sofferenze e morte alle creature classificate di specie diversa.

   Vorrei esplicare il mio antispecismo partendo da una delle più farisee obiezioni che mi sono state mosse in risposta al mio attivismo vegan. Tale contestazione aveva come contenuto un confronto moralista tra le mie battaglie per la liberazione animale e le donazioni, del mio interlocutore di turno, a favore dei bambini che muoiono di fame, opera ritenuta, dai più, espressione di massima filantropia e quindi indiscutibile. Io invece sono qui per discuterla.

   Personalmente non vedo nulla di nobile nel difendere a tutti i costi quanto ci assomigli e quindi ci rappresenti. Ci vedo piuttosto una richiesta dell'ego che, tradotta in breve, significa egoismo. Si, proprio così. Quando difendo a tutti i costi la mia specie, ovvero quelli che ho classificato simili a me, in realtà sto difendendo me stesso. E più alimento le istanze egoiche più cado in una cieca e ridicola presunzione di essere al centro del mondo. E, se andiamo oltre, al punto di far ricorso ad assiomi di natura religiosa per attribuire una sacra supremazia dell'essere umano, ovvero di se stessi, si cade ancora più in basso. Ecco che entra in gioco il perfetto postulato: dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza. Io direi che l'uomo (mi riferisco soprattutto al seguace delle principali religioni monoteiste) si è inventato un dio a sua immagine e somiglianza e, poichè è dio, ma anche se stesso, gli ha messo in bocca tutti i dogmi più comodi, quelli antropocentrici.

  Questo non significa non amare la propria specie e, tornando al bambino, mi occupo senz'altro di lui, proprio perchè indifeso. Ma un animale è ancora più indifeso del bambino, in quanto inserito nel sistema di dominio dell'uomo sulla terra, e, tranne rarissime eccezioni, considerato un oggetto. Nessun principio giuridico al mondo attribuisce diritti soggettivi agli animali e, le norme che li tutelano in qualche modo, laddove esistano, lo fanno solo indirettamente, in quanto è l'essere umano che, in ultima analisi si vuole direttamente tutelare e gli animali restano dei meri oggetti, asserviti in vario modo alle esigenze della specie dominante. La sofferenza e la morte di un animale possono ferire la sensibilità di alcuni o causare danno economico ma non esiste una soggettività giuridica degli animali, a cui far riferimento per gli infiniti casi di crudeltà, violenza e ingiustizia dei quali sono costantemente vittime. Talvolta le norme giuridiche stabiliscono doveri di rispetto nei loro confronti, in quanto parte del  contesto ambientale, il quale, secondo una mentalità che si sta sempre più diffondendo, deve essere tutelato, non per valore intrinseco, ma ahimè, in funzione utilitaristica nel contesto di un disegno antropocentrico.

   Ecco perchè, se possediamo un minimo senso della giustizia, è dei nostri fratelli animali che prima di tutto dobbiamo occuparci, proprio perchè sono loro le vere vittime di questo pianeta, i più indifesi, i più maltrattati, i più innocenti. Ho usato il termine "fratelli animali" non per qualche forma di misticismo o sentimentalismo ma per introdurre una riflessione che mi pare molto importante e vuole essere il cuore di questo post.

   Tornando a  Peter Singer e Tom Regan, è innegabile il grande contributo che hanno fornito per mettere in discussione quella visione di dominio dell'uomo sugli altri animali e il loro pensiero può essere un punto di partenza per ulteriori riflessioni e sviluppi di più elevata consapevolezza che, nel mondo antispecista, hanno iniziato a prendere forma. I due filosofi hanno dimostrato l'esistenza dei diritti degli animali partendo dalle somiglianze che presentano con gli esseri umani, posizione questa successivamente superata, in quanto accusata di velato antropocentrismo. Personalmente sono d'accordo. Non possiamo sviluppare un pensiero veramente evoluto partendo ancora una volta da noi stessi, insistendo nel voler stare al centro dell'universo. E' ora di levare le tende e riprendere quel viaggio senza fine di consapevolezza, attraverso i mondi, l'unico viaggio sensato. Dobbiamo dimenticarci di chi siamo e imparare a osservare e a ascoltare tutto quello che ci circonda e tutte le varie forme di vita, senza cercare di giudicare, classificare, di trovare somiglianze o differenze, in paragoni fuorvianti. La realtà è infinita e non si lascia certo imbrigliare dalle nostre limitate e misere categorie mentali. 

    In altre parole, sarebbe davvero poco intelligente, riconoscere dignità agli altri animali e un valore inestimabile alle loro vite solo perchè in loro ci rispecchiamo, diventando proiezioni della nostra vita interiore, con pensieri ed emozioni che, di sicuro, appartengono solo a noi. Conosciamo il nostro mondo interiore e ci illudiamo che sia superiore, in valore, a quello delle altre creature di cui, onestamente, non sappiamo nulla. 

     Dal mio punto di vista un antispecismo, che non cada nelle tanto frequenti quanto subdole trappole dell'antropocentrismo, deve fondarsi sulla presa di coscienza che l'uomo è animale tra gli animali, che non siamo in grado di comprendere la natura delle altre creature e che pertanto è assurda la pretesa di speculare ideologicamente su presunte somiglianze e differenze tra gli individui che, per "vizio" puramente umano, classifichiamo in specie. Ancora più assurdo è il meccanismo mentale di stabilire che esistano facoltà e capacità negli animali, etichettabili come superiori o inferiori. Tradotto in altre parole: non sono in grado di conoscere la vera natura di un lombrico, di entrare nel suo corpo e fare esperienza della sua interiorità. Pertanto non sono in grado di paragonarmi a lui. Quando ne trovo uno sull'asfalto, che il sole inizia ad arroventare, lo sposto all'ombra, sull'erba umida, così come recita una famosa citazione di Albert Schweitzer. In quel momento lui è come me ed io come lui, accomunati dalla cosa più importante: la vita. Questo mi basta per comprendere la sua dignità e il valore inestimabile del suo essere. La sua vita è importante quanto la mia. Intervenire nel momento di bisogno di qualsiasi essere vivente non può che essere salvifico, anche per noi stessi. Ma questo è tutto un altro discorso.

 

 

 

 

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